
Dopo il comunicato stampa diramato domenica sera dal Ministero della Salute che ha stabilito la non apertura degli impianti di risalita, molti dei gestori dei comprensori e stazioni sciistiche sono stati colti da rabbia e sgomento.
Le risorse che sono state impiegate per prepararsi all’inizio di questa stagione, già assai difficile, sono moltissime e i gatti delle nevi erano in azione per battere le piste e poter ricevere gli utenti la mattina di lunedì 15 febbraio.
La sensazione che le regioni montane hanno è quella di non essere considerate da Roma, che sembra non capire l’importanza della stagione invernale e della quantità di famiglie il cui sostentamento dipende dal mondo neve.
“Che lo Stato non riesca a farsi sentire vicino è un problema molto serio. Purtroppo c’è la percezione che alcune persone vengano aiutate e molte altre invece siano dimenticate. C’è troppa distanza tra il centro, dove vengono prese le decisioni, e quella che viene considerata periferia. Ritengo che sia peggio consentire assembramenti nelle grandi aree urbane senza capire come gestirli piuttosto che aprire alcune piccole stazioni e impianti all’aria aperta con un sistema di gestione studiato nei minimi dettagli dagli operatori e dalle Regioni”, dichiara Marco Bussone, presidente dell’Uncem, Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani.
In Piemonte
Questa le reazione di Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte, che si dice allibito per la decisione che giunge a poche ore dalla riapertura: “Su queste direttive il Piemonte si è mosso, nel rigoroso rispetto delle regole. Regole che non possono cambiare tutte le settimane. E, soprattutto, i dati aggiornati sulla situazione epidemiologica sono in possesso del Cts e del governo da mercoledì. Mi chiedo se non fosse il caso di fare queste valutazioni prima, invece di aspettare la domenica sera. È una mancanza di rispetto inaccettabile da parte dello Stato che dovrebbe garantire i suoi cittadini, non vessarli. Parliamo di imprese che hanno già perso un intero anno di fatturato, messe in ginocchio dalla pandemia e che hanno usato gli ultimi risparmi, ammesso di averli ancora, per anticipare le spese necessarie alla riapertura”.
In Lombardia
In Lombardia gli skipass già venduti prima di lunedì erano moltissimi, come le persone assunte per poter far partine la macchina degli impianti.
Uno sguardo arriva dalla Val Brembana e più precisamente da Foppolo, con Jonathan Lobati presidente della comunità montana Valle Brembana: “Questa disorganizzazione è una violenza nei confronti di un mondo che probabilmente qualcuno ritiene solo per i ricchi. Ma non è così. Le perplessità e i dubbi del Comitato tecnico scientifico c’erano già da giovedì. Perché non è stato fatto un provvedimento venerdì? I gestori avrebbero evitato spese per preparare le piste, le assicurazioni, le assunzioni dei dipendenti poi annullate. Sarebbe stato meglio dire fin dall’inizio dell’inverno che quest’anno la stagione sarebbe saltata”.
Queste invece le parole di Massimo Fossati, presidente di Anef Lombardia e gestore del comprensorio Valtorta-Piani di Bobbio, situato a cavallo tra le province di Bergamo e Lecco: “Quello a cui ci stanno sottoponendo è un gioco al massacro che non può che generare rabbia. Perché se oggi ci dici di aprire e noi assumiamo, domani non ci puoi dire di stare chiusi: non è rispettoso né per chi ha assunto né per chi è stato assunto”.
Nella provincia autonoma di Trento
Nella provincia autonoma di Trento le regole per mantenere il distanziamento interpersonale e ridurre al minimo i contatti erano già state definite da mesi dall’assessore al Turismo Roberto Failoni, che commenta così: “Dovevano dirlo subito che gli impianti sarebbero stati chiusi tutta la stagione: avremmo risparmiato lavoro e rabbia. Non oso pensare a come si sentano gli amici lombardi e piemontesi. Le decisioni prese a poche ore dall’apertura degli impianti stupiscono, anche perché non credo che il problema sia emerso domenica”.
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