
Arabba: “Durante l’inverno diamo da lavorare quasi a mille persone, un piccolo esercito silenzioso, rimasto senza un impiego, e per l’indotto della valle di Fodom stimiamo una perdita di 15 milioni di euro”.
Un’ulteriore falsa partenza della stagione, la quinta in pochi mesi, dopo quella al 3 dicembre, poi al 7 gennaio, quindi al 18 gennaio e al 15 febbraio e ora la proroga al 5 marzo. Un continuo creare aspettative tra gli operatori e i professionisti della montagna che vivono del turismo dei mesi invernali, e un continuo disattendere le stesse aspettative.
Il comprensorio di Arabba e di tutta la valle di Fodom vuole esprimere il proprio punto di vista con un giudizio di merito basato su dati concreti.
“Ci avrebbe fatto meno male sapere dall’inizio della stagione che non avremmo aperto per tutto l’inverno con un chiaro arrivederci all’estate, perché abbiamo subito, oltre un danno economico, anche la beffa di una mancata apertura che avrebbe in parte attenuato le perdite di questo malcelato lockdown”, commenta Michela Lezuo, presidente dell’Associazione Turistica di Arabba.
Arabba e la sua comunità, come quasi tutte quelle dell’arco alpino, guardano al proprio bilancio in rosso. Quella in valle di Fodom è una delle località nevralgiche all’interno del sistema Dolomiti SuperSki, il più grande comprensorio sciistico al mondo, che vanta oltre 1.200 chilometri di piste dedicate al solo sci alpino. Circa 1.300 abitanti pari a 563 nuclei familiari, che per la maggior parte vivono di turismo e del suo indotto. L’attività economica durante l’inverno richiama da fuori provincia un piccolo esercito di operatori: durante i mesi invernali il comparto impiantistico assume 250 addetti a contratto e quello ricettivo, commerciale e dei servizi turistici supera abbondantemente le 630 unità.
“Solo nel nostro piccolo comune abbiamo quasi 900 persone che lavorano in modo stagionale per la filiera dello sci e gran parte di queste provengono da fuori regione: è un esercito silenzioso di lavoratori che contribuiscono a creare l’immagine positiva della nostra terra agli occhi del mondo”, continua Michela Lezuo. “La percentuale di ospiti sciatori italiani è del 35%, quindi siamo una vetrina sul mondo: possiamo vantare un turismo proveniente dai cinque continenti del pianeta”. In un anno normale, con un stagione “normale”, i posti letto ad Arabba sono circa 3.000 e vengono coperti con tassi di occupazione altissimi, soprattutto dall’estero.
A parlare sono i bilanci, i dati concreti e a fare i conti si fa presto.
Nell’anno solare 2019 il fatturato è stato di 29 milioni di euro, scesi a 23 nell’esercizio scorso, con un calo di presenze del 30%, valori che non comprendono il giro d’affari del comparto impiantistico.
Il presidente Lezuo prosegue: “In base alle presenze nel 2019 abbiamo registrato nei mesi invernali il 60% dell’intero flusso annuale e, poiché il valore della occupazione invernale è di gran lunga superiore (grazie alle settimane bianche) a quella estiva (dove si predilige il weekend lungo), possiamo stimare che il 70% del fatturato annuale si produce nella stagione dello sci“.
In proporzione dunque 20 milioni, dei 29 milioni di euro registrati nel 2019, sono da imputare ai mesi invernali: “Quindi possiamo concludere che da inizio dicembre a fine febbraio la nostra valle ha perso circa 15 milioni di euro”.
Sono i continui dietro front ad aggravare ancor di più la situazione, perché per ogni “falsa partenza” sono stati investiti soldi e risorse: “I nostri operatori ci hanno creduto con grande entusiasmo, investendo decine di migliaia di euro per la ripartenza, ancorché in una stagione troncata sul nascere e per dare il volume di cosa significhi per un hotel di medie dimensioni riaccendere i motori, è bene ricordare che l’albergatore sostiene spese d’avviamento che variano tra gli 8 e 10 mila euro. Qui non si tratta più di avere ristori, si devono aggiungere anche gli indennizzi!”, sottolinea Lezuo.
E non solo gli hotel ne risentono ma tutta la filiera, in quanto ogni prenotazione avvenuta è stata puntualmente disdetta per ciascuna categoria coinvolta: ristoranti, scuole sci, noleggi, servizi per lo spostamento, ecc.
“Tutto ciò ci appare paradossale, perché se da una parte si sostiene che lo sci è veicolo di contagio, per quale ragione si consente a negozi di varia natura di restare aperti? E ci chiediamo con che criterio si stabilisce che lo sci sia una attività più a rischio di altre?”.
“La percezione del valore della montagna pare essere inesistente nella stanza dei bottoni”, conclude Michela Lezuo, che si fa portavoce del disagio degli operatori economici di Arabba e della valle di Fodom.