
Intorno alle 19 di domenica 14 febbraio, a poche ore dal giorno che avrebbe dovuto segnare l’inizio di una stagione sciistica già molto difficile, il ministro Speranza firma l’ordinanza che decreta la chiusura degli impianti fino al 5 marzo. Quindi niente sci.
Un’altra beffa per la montagna bianca e per i suoi professionisti che hanno visto allontanarsi ancora di più la possibilità di tornare a fare quello che la Costituzione mette al primo posto come diritto fondante della nostra Repubblica: lavorare.
Migliaia di lavoratori dello sci, pronti a tornare sul proprio posto di lavoro dopo un anno saranno, ancora una volta, lasciati a casa, con qualche ora di preavviso.
Non parliamo solo di “una sciata”, ma di un settore che genera un indotto complessivo di 11 miliardi all’anno, di dignità e di sostentamento per migliaia di famiglie.
Di seguito riportiamo il comunicato stampa diramato dal Ministero della Salute.
“Il provvedimento tiene conto dei più recenti dati epidemiologici comunicati venerdì 12 febbraio dall’Istituto Superiore di Sanità, attestanti che la variante VOC B.1.1.7, detta variante UK e caratterizzata da maggiore trasmissibilità, rappresenta una percentuale media del 17,8% sul numero totale dei contagi. La preoccupazione per la diffusione di questa e di altre varianti del virus SARS-CoV-2 ha portato all’adozione di misure analoghe in Francia e in Germania. Nel verbale del 12 febbraio, il Comitato Tecnico Scientifico, con specifico riferimento alla riapertura degli impianti sciistici nelle Regioni inserite nelle cosiddette “aree gialle”, afferma che “allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive vigenti, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale.
Il Governo si impegna a compensare al più presto gli operatori del settore con adeguati ristori”.